Lo yoga fisico che cerco di trasmettere, così come alcuni maestri lo hanno trasmesso, filtrato dalla mia intensa esperienza personale con lo yoga, si basa sulla tradizione Sivananda, dal nome del suo capostipite Swami Śivānanda Sarasvatī. Si tratta di uno yoga che conserva una linea di continuità con gli yoga presentati in vari testi sanscriti e che è stato definito “psicosomatico”, volendolo differenziare dallo yoga posturale moderno per l’enfasi sull’introcezione e sulla propriocezione durante la pratica.

Una ginnastica, sì, ma fatta in un certo modo, accompagnata da una base teorica e da certe regole di gioco. Ad esempio, non si parla. Può risultare un po’ strano che non si parli e che non ci sia la musica, ma precludersi la possibilità di parlare è un modo per uscire dal solco di una serie di abitudini consolidate, da modi di dire che sono modi di pensare che, non detti, si fanno scoprire. Il linguaggio presuppone una potenza motoria che nella stasi delle posizioni può venire disinnescata. Le nostre idee e gli schemi mentali che ci muovono e ci commuovono dipendono dai discorsi esterni e dal nostro discorso interiore. Se i discorsi ci toccano, a yoga possiamo sentire come e dove i discorsi-pensieri che emergono nel silenzio della pratica ci toccano. Nel momento in cui riconosciamo il punto di incontro-scontro tra le parole-idee e il corpo, l’impatto è attutito ed eventualmente neutralizzato. Parlare non è l’unico modo di comunicare, così come pensare non è l’unico modo di conoscere e guardare non è l’unico modo di vedere. Al contrario, a yoga ci esercitiamo ad osservare e ad ascoltare respiro, movimenti, sensazioni, emozioni, suoni e silenzi…nell’ottica di allenarci ad un’estetica del cuore.

I corsi si differenziano in base all’impegno fisico richiesto, ma l’esercizio per allenare lo sguardo e i pori ad una percezione sempre più precisa di ciò che accade al corpo-mente quando entra in contatto con un qualsiasi stimolo è presente in ogni lezione. È questa stessa capacità propriocettiva ed enterocettiva a differenziare un principiante da un praticante avanzato, non certo la capacità di eseguire posizioni difficili o acrobatiche. La finalità non è la perfetta esecuzione di una posizione (com’è la posizione perfetta?), ma il mettersi in gioco provando ad inglobare ritmi diversi e a cambiare le abitudini che definiscono la ‘nostra’ soggettività. “Chi sono io?” si chiedono gli yogi.

Sono stata socia Y.A.N.I. nella categoria riservata a studiosi e ricercatori dal 2018 al 2022.

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